#1 Ci provo con… Cormac McCarthy – La strada

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Eccoci qui con una nuova Rubrica! Chiara  La Lettrice sulle nuvole se n’è inventata un’altra delle sue e questa volta l’intento è quello di spingerci a leggere autori/trici mai letti prima. Potevo non cogliere l’occasione? E, complice la Reading Challenge a cui ho aderito che poneva tra gli obiettivi la lettura di un distopico, la mia scelta è caduta su Cormac McCarthy, scrittore statunitense che da tempo mi incuriosiva, col suo La strada.

L’iniziativa avrà cadenza mensile e il giorno individuato è il 28 di ogni mese.

La strada - Cormac McCarthy - copertinaLa strada

Cormac McCarthy

Editore: Einaudi
Genere: Distopico
Pagine: 220 p.
Descrizione: Un uomo e un bambino, padre e figlio, senza nome. Spingono un carrello, pieno del poco che è rimasto, lungo una strada americana. La fine del viaggio è invisibile. Circa dieci anni prima il mondo è stato distrutto da un’apocalisse nucleare che lo ha trasformato in un luogo buio, freddo, senza vita, abitato da bande di disperati e predoni. Non c’è storia e non c’è futuro. Mentre i due cercano invano più calore spostandosi verso sud, il padre racconta la propria vita al figlio. Ricorda la moglie (che decise di suicidarsi piuttosto che cadere vittima degli orrori successivi all’olocausto nucleare) e la nascita del bambino, avvenuta proprio durante la guerra. Tutti i loro averi sono nel carrello, il cibo è poco e devono periodicamente avventurarsi tra le macerie a cercare qualcosa da mangiare. Visitano la casa d’infanzia del padre ed esplorano un supermarket abbandonato in cui il figlio beve per la prima volta un lattina di cola. Quando incrociano una carovana di predoni l’uomo è costretto a ucciderne uno che aveva attentato alla vita del bambino. Dopo molte tribolazioni arrivano al mare; ma è ormai una distesa d’acqua grigia, senza neppure l’odore salmastro, e la temperatura non è affatto più mite. Raccolgono qualche oggetto da una nave abbandonata e continuano il viaggio verso sud, verso una salvezza possibile…
Vincitore premio Pulitzer per la narrativa 2007

Recensione

Maryella B.
In quei primi anni le strade erano affollate di profughi imbacuccati dalla testa ai piedi. Protetti da maschere e occhialoni, seduti fra gli stracci sul bordo della strada come aviatori in rovina. Carriole piene di cianfrusaglie. Carri e carretti al seguito. Gli occhi spiritati in mezzo al cranio. Gusci di uomini senza fede che avanzavano barcollanti sul selciato come nomadi in una terra febbricitante. La rivelazione finale della fragilità di ogni cosa. Vecchie e spinose questioni si erano risolte in tenebre e nulla. L’ultimo esemplare di una data cosa si porta con sé la categoria. Spegne la luce e scompare. Guardati intorno. Mai è un sacco di tempo. Ma il bambino la sapeva lunga. E sapeva che mai è l’assenza di qualsiasi tempo.
Come riuscire a trovare le parole per decifrare un codice narrativo essenziale come quello usato da Cormac McCarthy? Un linguaggio scarno, spoglio di orpelli scenici e formalismi. Austero e disadorno, ma non certo impacciato o privo di consistenza comunicativa. Una forma espressiva dai tratti monotoni, quasi ripetitivi, in cui gli stessi dialoghi – mai evidenziati da alcun segno grafico e, dunque, fagocitati all’interno della narrazione – ripropongono uno schema modulato da un ritmo quasi privo di variazioni. E quasi privo di variazioni – nel succedersi dei gesti e delle intenzioni – risulta anche l’andamento della storia.
La strada è un viaggio percorso da passi che si succedono in maniera regolare, il cui incedere però non è in alcun modo felpato o leggero: è un cammino che non rilascia vibrazioni ovattate, non è segnato da suggestioni diafane perché in esso nulla è attutito. Quella piatta uniformità del procedere si accende di una fiamma impetuosa e vibrante, rifugge le emozioni sommesse e investe il lettore con onde sonore assordanti. Sì, perché immergersi nelle pagine di La strada equivale a provare un’esperienza emotiva fragorosa. Intensa e profondamente struggente.
Poco si può aggiungere, in termini di fatti narrati, a quanto recitato dalla sinossi. Un uomo e un bambino, padre e figlio, senza nome. Spingono un carrello, pieno del poco che è rimasto, lungo una strada americana. La fine del viaggio è invisibile.
In una dimensione post-apocalittica i due sopravvissuti si muovono verso sud, alla ricerca di una salvezza che ritengono possibile: si muovono con circospezione per fuggire all’attacco di predoni senza scrupoli, rovistano tra le rovine alla ricerca di cibo, acqua e qualunque altra risorsa possa aiutarli nella loro impresa che, giorno dopo giorno, diviene sempre più insidiosa e priva di speranza. Il freddo, la fame, le malattie a volte fiaccano lo spirito dell’uomo, ma l’amore per il figlio è più forte di qualunque spinta e gli impedisce di cedere, di usare – come avrebbe voluto la moglie, prima che li abbandonasse – una pallottola per porre fine alla vita di ognuno di loro.  Nel figlio egli vede il fuoco, una sorta di essenza che in pochi hanno conservato, e questo è un tesoro da preservare e difendere a ogni costo. È criptico McCarthy, ci fornisce poche spiegazioni, ma di certo sa come parlare alla sensibilità dei lettori: trasmette con efficacia travolgente una visione del mondo e degli uomini che viene filtrata dagli occhi dei due protagonisti. Un padre che ha quasi abbandonato ogni misericordia umana, se non quella nei confronti del proprio bambino, e un figlio che, al contrario, conserva ancora sentimenti di compassione per gli altri, che avverte ancora nel cuore un misto di pietà virtuosa che lo spinge a voler aiutare, a fermarsi per condividere quel niente che porta con sé, a rifiutare che la propria sopravvivenza si traduca nella condanna di altri esseri umani.

Non se n’è andato, disse il bambino. Alzò gli occhi. Aveva il viso rigato di fuliggine. Non è vero.

Che cosa vuoi fare?

Aiutarlo, papà. Voglio solo aiutarlo.

L’uomo si voltò a guardare la strada.

Papà, aveva solo fame. Adesso morirà.

Sarebbe morto comunque.

Ha tanta paura, papà.

L’uomo si accovacciò e guardò il bambino. Anche io ho paura, disse. Lo capisci? Anche io ho paura.

Il bambino non rispose. Rimase seduto lì a capo chino, scosso dai singhiozzi.

Non tocca a te preoccuparti di tutto.

Il bambino disse qualcosa che l’uomo non capì. Cosa?, disse.

Il bambino alzò gli occhi, il viso sporco e bagnato. Sì, invece, disse. Tocca a me.

La strada è un romanzo colmo di inquietudine: la tensione è sempre costante e non servono azioni rocambolesche o colpi di scena straordinari, non serve altro se non la capacità dell’autore di rendere, con efficacia spiazzante, l’incertezza che avvolge, oltre al futuro, anche lo stesso presente.

Nessuna lista di cose da fare. Ogni giornata sufficiente a se stessa. Ogni ora. Non c’è un dopo. Il dopo è già qui. Tutte le cose piene di grazia e bellezza che ci portiamo nel cuore hanno un’origine comune nel dolore. Nascono dal cordoglio e dalle ceneri.

La strada commuove quando sembra non lasciare via di scampo, quando appare più forte, quando prova a sottrarre il domani a chi la sta percorrendo; La strada strazia quando urla il tormento di un padre che vede il corpo scheletrico del figlio e sa che, forse, quello potrebbe essere l’ultimo giorno in cui potrà stringerlo tra le braccia; La strada spaventa. La strada toglie ma  La strada sa anche dare: smuove le coscienze, spinge alla riflessione  e si anima di slanci quasi poetici, mentre dipinge, con tratti malinconici, momenti irripetibili dell’universo emotivo di coloro che la stanno percorrendo e lascia un’eredità – quella paterna – fatta di beni non certo materiali, ma che sono un patrimonio umano inestimabile.

La strada scava. Rapisce. Toglie il fiato. E grida una devastazione che sovrasta. Imprigiona e sevizia. Eppure continua a snodarsi: non giunge a vicoli ciechi, ma spinge ancora al cammino. Nonostante i giorni cupi, nonostante il mare che ha perso il colore blu, nonostante la morte.

Nonostante ogni cosa sia ormai riarsa, nonostante la terra non riesca più a generare frutti, nonostante l’estinzione di più di una specie vivente la fiammella – o forse l’incendio – della speranza continua ad ardere e si rifiuta di effondere l’ultimo respiro.

Ed è in questa rappresentazione scabra, a tratti fatalista, a tratti incapace di rassegnarsi, che questa storia diviene metafora, si colma di stupore e incredulità, afferra le viscere del lettore che viene risucchiato in una dimensione vivida e angosciante, ma che lascia fluire un turbamento che raggiunge il cuore, emozionato dalla sincerità di un legame che trascende qualunque cosa, che è autenticamente profondo e riesce – ostinato – a sopravvivere. Sempre. Contro ogni pronostico o avversità.

Impossibile non lasciarsi scuotere dai sentimenti che pervadono le pagine: impetuoso è il rimbombare delle emozioni; drammatica la sofferenza legata al dover trovare – ogni giorno, ogni maledetto momento – il coraggio di proseguire il cammino; appassionante è abbandonarsi alle suggestioni che si muovono da questo libro, che pur nella sua brevità è – in termini di carica comunicativa – opulento  e tenacemente incisivo.

Sono certa che su questo romanzo molto – oltre a quanto detto – potrebbe essere aggiunto. Probabilmente se ne potrebbero annoverare i difetti e certamente si potrebbe fare cenno alle impressioni di carattere metafisico che  ne segnano le pagine.

Quando si muore è come se morissero anche tutti gli altri.

Immagino che Dio lo saprebbe. Dico bene?

Non c’è nessun Dio.

Ah no?

Non c’è nessun Dio e noi siamo i suoi profeti…

Senza dubbio potrei aggiungere altro, ma penso, e, certamente questo romanzo non potrebbe che esserne la conferma, che un libro usi parole diverse per rivolgersi a ognuno dei suoi lettori, che, al cambiare del destinatario, sappia farsi capire in maniera differente e lasci di sé qualcosa di irripetibile. Non posso, quindi, che invitarvi alla sua lettura.

Ora vi do l’appuntamento al 28 Maggio, quando l’appuntamento con la Rubrica si ripeterà e vi lascio il banner, per il quale ringrazio Dolci di  Le mie ossessioni librose, nel quale potrete vedere quali altri Blog oggi si sono uniti all’iniziativa.

 

 

Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso.

14 commenti Aggiungi il tuo

  1. dolci73 ha detto:

    Uno dei miei libri preferiti!

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    1. Maryella B. ha detto:

      Ti capisco ❤

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  2. Niente di Personale Blog ha detto:

    Dalla tua recensione percepisco che si tratti di un libro molto bello ma qualcosa mi frena…

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  3. CHIARA ROPOLO ha detto:

    Che bella recensione! È già in lista, ora ho ancora più voglia di leggerlo

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  4. La Biblioteca dei Desideri ha detto:

    Ho sempre pensato a quello che avrei fatto in una situazione simile dove io fossi rimasta l’unica sulla terra. Almeno adesso so che non è una sola mia fantasia 😂😂

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  5. inchiostronoir ha detto:

    Iniziativa interessante, soprattutto per far conoscere gli esordienti!

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  6. floriana ha detto:

    Bella recensione, ma non è un libro nelle mie corde

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  7. mocaiana ha detto:

    Bellissima recensione. Ho già letto il libro e tu hai evidenziato tutto.

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  8. Lady C. ha detto:

    Complimenti per questa recensione fantastica! Davvero bellissima ❤ E sappi che è proprio per "colpa" tua se ho messo il libro in wishlist 😉 Lo conoscevo, ovviamente, ma non avevo mai visto un tale parere online da indurmi all'acquisto pressoché immediato 😀 Grazie ❤

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  9. Sorairo ha detto:

    E’ proprio il genere che fa per me. Devo leggerlo da anni. Grazie per la tua recensione!

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  10. Erica Libri al caffè ha detto:

    Bella recensione però è una storia che in questo periodo non fa per me, ho bisogno di cose più allegre

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    1. Maryella B. ha detto:

      Ti capisco, bisogna essere ben disposti per certe letture

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