La Rubrica Bad Boy Club… viaggio nel mondo di Anne Stuart nasce qualche anno fa e viene pubblicata nel Blog SognandoLeggendo con cui ho avuto il piacere di portare avanti una collaborazione free-lance. Gocce di memoria era il nick che ho usato per firmare gli articoli di approfondimento scritti in quel periodo. Si tratta di un misto tra recensione e disamina vera e propria, nei quali non ho prestato la solita attenzione a evitare la presenza di spoiler: spesso faccio riferimenti alla trama.
Alert Spoiler
Vi do nuovamente il benvenuto all’appuntamento coi Bad Boy di Anne Stuart, a differenza dei primi tre articoli della Rubrica, il quarto episodio è del tutto inedito: pur avendolo scritto non è mai stato pubblicato sul Blog che mi stava ospitando. Come anticipavo nei saluti di Bad Boy Club… #3 rimanevano ancora molte cose da dire su Innocenza e seduzione e a me era mancata la capacità di sintetizzare tutte le mie riflessioni in un unico pezzo.
Quando scrivevo – nel 2015 – Anne Stuart era tra le più apprezzate e richieste autrici romance, tuttavia, se provvedeva a saziare la fame di una parte del suo pubblico non riusciva ad estinguere la mia.
L’autrice mi sottrae quell’essenziale nutrimento rappresentato da un ideale che si realizza in una relazione in cui lui e lei sono compagni. Non uno, ancora di salvataggio o panacea, per l’altro, ma alleato e amico in un progetto equilibrato che preveda il procedere fianco a fianco mutuamente pronti a sostenersi; non uno sacrificato ai demoni dell’altro, ma entrambi ugualmente partecipi contributori secondo una simmetria dominata dal desiderio supremo di compiere il bene dell’amato. E su tutto esigo un’aperta vocazione ad accogliere l’amore senza che esso venga percepito come un virus letale, giunto a minacciare l’esistenza dei protagonisti, quasi che, invece, non fosse il motore che ci traghetta verso la completa realizzazione di ciò che siamo realmente. Che manchino tutte queste prerogative è la probabile ragione per la quale vedo solo miserabile piccolezza nel protagonista. E ogni tassello aggiunto dalla narrazione rende il Visconte un caleidoscopio di pecche e fragilità. Imperfezioni e debolezze inidonee a renderlo – come intenderebbe l’autrice – umanamente ammirevole, ma senza dubbio adeguate a porlo in una categoria di individui randagi, che raminghi e sbandati vivono ai margini della vita perché incapaci di presentire e afferrare la sua autentica energia; si tratta di esseri mutilati e disadattati che non riescono a percepire e ascoltare il battito della coscienza… a catturare e consumare la pienezza delle vere gratificazioni.
Era un uomo cattivo. Un bastardo senza cuore, un libertino, un debosciato, e non cercava scuse. Non era mai stato fedele in vita sua e non intendeva cambiare. Si sentiva soffocare dagli appiccicosi legami emotivi che trasudavano da lei. Probabilmente era convinta di essersi innamorata di lui. Prima troncava quella faccenda, meglio era.
Il quadro che l’autrice dipinge ha tinte fin troppo fosche che però la Stuart tenta di alleggerire attraverso le pennellate dei suoi emissari, che senza alcun titolo esprimono discutibili opinioni facendole passare per Vangelo. Persino la sorella della protagonista che ha incontrato solo due volte il Visconte – e per non più di dieci minuti – sale sul pulpito e ci offre la sua versione dei fatti, volendoci convincere della bontà dei suoi visionari vaneggiamenti
Anche se era ridicolo pensare che la felicità potesse giungere da un libertino come Rohan. Se avesse avuto un po’ di buon senso, avrebbe dovuto essere preoccupatissima per sua sorella e il suo futuro.
Lei, però, aveva qualcosa di meglio del buon senso. Aveva un istinto quasi infallibile, quando si trattava di valutare le persone. Sapeva chi era buono e chi era cattivo. Non secondo le regole della società, per le quali Rohan era detestabile, mentre l’uomo che un tempo aveva creduto suo padre era fedele e d’animo nobile.
No, Rohan non abbandonava, non obbligava con la forza. E Lydia sapeva che Elinor era in grado di reggere il confronto con lui, altrimenti non avrebbe mai lasciato volontariamente Parigi. Avrebbero dovuto portarla via a forza, urlante. Per qualche settimana, o solo per qualche giorno, Elinor avrebbe provato la nuova esperienza di essere considerata affascinante, di essere corteggiata, perfino sedotta. Avrebbe dovuto accettare la propria bellezza esteriore, oltre a quella interiore; e se la sua virtù era il prezzo che doveva pagare, ebbene, spettava a lei decidere se ne valesse la pena. Elinor non avrebbe mai rinunciato a qualcosa, senza esserne davvero convinta.
Il braccio di ferro tra Fatti e Opinioni prende la forma di uno scontro all’ultimo sangue e non mi capacito di come l’autrice possa credere di turlupinare con tanta facilità le lettrici.
Rohan per buona parte del libro ha progettato di far sposare Elinor al proprio cugino in maniera tale da avere libero accesso al letto della donna e poter finalmente godere dei suoi favori. Come dimenticarlo?
Possibile ritenere tanto labile la memoria del pubblico? E cosa dire delle protagoniste femminili trattate, come sempre, al pari di un rifiuto? Sacrificabili, e nella completa disponibilità di questi uomini, valgono meno di nulla e, malauguratamente, ripetendo uno schema fin troppo abusato, sono felici di cooperare al loro martirio. Irrimediabilmente attratte da una dinamica sciagurata che le vuole vittime consenzienti di carnefici senza scrupoli non si avvedono che i bad-boy della Stuart sono privi di ogni residuo di umanità e pietosa coscienza, non si rendono conto che legarsi a loro è unirsi a dei cadaveri in avanzato stato di decomposizione, capaci di attrarre unicamente donne dalla marcata indole necrofila.
Anche la loro sensibilità morale, al pari di quella dei compagni, è fragile e non radicata. Quando Elinor viene a sapere che Francis ha vendicato l’abuso inflittole sei anni prima non mostra angoscia. È una sorta di compiacimento ciò che prova, nessun senso di inquietudine di fronte a una morte inflitta da colui che ama.
«Siete certo che Rohan non rimarrà ferito? E cosa intendeva dire Marcus a proposito… dell’uomo che avrebbe ucciso?»
«Sir Christopher Spatts» disse Charles in tono cupo. «Non ho assolutamente idea del perché lo abbia fatto. È entrato in… be’… una delle stanze usate per le Feste, ha preso da parte Sir Christopher e gli ha gettato un bicchiere di vino in faccia. Quell’uomo non poteva competere con lui, ma non ho mai visto Rohan più cattivo e più determinato a uccidere.»
Elinor sorrise di nuovo. «Bene» sussurrò, facendo sobbalzare suo cognato.
Il Visconte aveva fatto giustizia, ergendosi ipocritamente a giudice, giuria ed esecutore della condanna. Ipocritamente declina a proprio uso e consumo una morale dal retrogusto doloso: ritiene colpevole e punibile un uomo, ma non applica lo stesso metro di giudizio a se stesso. Anche a lui poteva essere imputata la stessa colpa. Quanta malafede in questa ritrovata coscienziosità che rivela l’evidente istinto selettivo dei principi virtuosi che guidano il nostro eroe. Un faro etico che con illegittima disinvoltura decide di illuminare solo le iniquità altrui e non certo le proprie.
Christopher Spatts ha fatto uso di Elinor in maniera non diversa da quella che Francis progettava eppure in quel caso i redivivi impulsi morali erano in uno stato di profonda catalessi e gli hanno impedito di avvertire quel sano disagio che sempre dovrebbe accompagnarsi al compimento di azioni volte a danneggiare un altro essere umano.
Rohan scoppiò a ridere. «Oh, non sono certo motivazioni così nobili a spingermi. Concepisco solo pensieri impuri, quando si tratta di giovani donne. Vorrei che tu sovrintendessi a un rapido e indolore passaggio a miglior vita della loro madre, e che sposassi la figlia maggiore. Si rivelerà una moglie eccellente per te: è una donna di buon senso e parla chiaro. Organizzerà la tua vita e il tuo lavoro e ti darà almeno una dozzina di figli.»
Vi fu un attimo di silenzio. «Incredibile, come tu riesca ancora a stupirmi» disse infine Etienne. «Non intendo uccidere una vecchia per te, né sposare una donna perché tu possa corromperne la sorella minore.»
«In realtà, la madre non è così vecchia. Ma è malata di lue e il suo cervello ormai è andato.» Rohan si toccò il braccio e fece una smorfia. «Morirà comunque nel giro di qualche mese. È la tua futura sposa che intendo corrompere.»
Nessuno dice che Christopher Spatts meritasse meno di quanto ha ricevuto, tuttavia che un’autrice scelga di far vestire i panni del giustiziere al suo eroe mi lascia sempre disorientata. L’uomo che uccide per legittima difesa – propria e altrui – o colui che infligge la morte involontariamente mantiene inalterata quella rettitudine che voglio sempre trovare nei protagonisti dei romance, la Stuart però non fa rientrare in uno di questi casi l’azione del suo personaggio e macchia la sua creatura facendole compiere il più truce dei delitti.
«Diamine» mormorò Charles. «Che cosa ha fatto?» Socchiuse gli occhi. «Buon Dio, hai preso la spada? Non puoi combattere con lui, Francis. Non può assolutamente starti alla pari. Sarebbe un omicidio.»
«Bene» disse Rohan. «Dov’è?»…
Era stato rapido. Del resto, come avrebbe potuto essere altrimenti, pensò confusamente Rohan. Era un abile spadaccino, leggero sui piedi, assolutamente spietato. Sir Christopher Spatts era lento, grasso e stupido, incapace di capire che stava guardando la morte in volto… Un omicidio, puro e semplice. Non poteva competere con lui, e quando Rohan gli aveva infilato la lama nel cuore, lo sventurato aveva strillato come un maiale. Rohan invece avrebbe voluto lanciare un grido di trionfo.
Sir Christopher si era accasciato al suolo, e Rohan si era allontanato, scagliando la spada attraverso la stanza. Era morto, giustiziato, come avrebbe dovuto essere anni prima.
Per rendere il senso di penosa miseria che le scelte dell’autrice mi hanno trasmesso voglio usare parole che non sono mie, ma di un personaggio che ha colmato di ammirazione e meraviglia la mia anima, riuscendo a donarmi quell’appagamento emotivo di cui vado in cerca ogni volta che inizio la lettura di un romance. Nelle parole di questo venticinquenne incontro quella tridimensionalità cui facevo riferimento nell’articolo precedente: …luci e ombre, sensibilità e imperturbabilità, potenza e delicatezza… tutte combinate in una perfetta fusione che rivela quel complesso di attitudini fatte di intelligenza, di predisposizione naturale a sentire le cose, ad avvertire la bellezza, ad ascoltare la voce di ciò e di chi ci circonda… All’appuntamento con la vita lui non si sottrae e riesce a comunicare consapevolmente con essa, accogliendola in ogni suo aspetto.
Come a Rohan non gli sono stati risparmiati duri colpi, ma il suo spirito non è rimasto consumato da questi eventi e di fronte all’opportunità di vendicarsi sceglie una strada diversa.
— Cosa gli hai fatto? — gli chiese lei con voce bassa e roca. — L’hai ucciso?
— No. Lo desideravo. E per un terribile momento ho rischiato di farlo.
— Non pensavo che tu avessi difficoltà a uccidere.
Zach le mise la mani a coppa sotto il mento e le spinse indietro la testa, tanto che lei non ebbe altra scelta se non alzare gli occhi e incontrare il suo sguardo fermo. — Stai pensando a questo pomeriggio, vero, e a quella notte in rue Conti? — Scosse la testa. — Sono un soldato, Emmanuelle. Ho imparato molto tempo fa che se qualcuno ha dimostrato di volerti uccidere, tu non molli finché non sei maledettamente sicuro di averlo messo in una posizione da cui non possa farlo. Ho visto troppi uomini cedere prima del tempo, e morire per questo.
— E il tenente di Fort McKenna?
— Se l’avessi ucciso, sarebbe stato un omicidio freddo, calcolato. Io non sono un boia.
Emmanuelle intrecciò le dita con le sue e si portò alle labbra le loro mani allacciate. Aveva sempre pensato a lui come a un assassino, un portatore di sofferenze, morte e distruzione privo di rimorsi. In realtà si rese conto che avrebbe dovuto capire anche quella verità su di lui, che combatteva solo per proteggere se stesso e gli altri, che conservava sempre un rispetto profondo per la vita umana. Aveva semplicemente chiuso gli occhi e si era rifiutata di vederla.
È con questa immagine di Zachary Xavier Cooper che voglio chiudere l’ultimo appuntamento con la Rubrica. Grazie per avermi seguito.
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